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Elogio del “rischio ragionato” di Mario Draghi. Perché serve rischiare la vita per non morire

A volte bisogna rischiare la vita per non perderla senza accorgersene. Si fa un gran parlare dell’opportunità di riaprire bar e ristoranti, cinema e teatri, palestre e piscine. Finalmente il governo ha indicato la road map per il ritorno graduale a una nuova normalità: abbiamo preso un “rischio ragionato”, ha scandito il presidente del Consiglio Mario Draghi. E la parola chiave è “rischio”, il fulcro del trionfo e del declino. Guardiamoci in faccia: qui in Occidente non siamo più disposti a rischiare, anzi rifuggiamo il rischio come una iattura, come il peggiore dei mali. In questa ritirata assai poco strategica c’è la rinuncia al progresso, a diventare migliore, a cogliere nuove opportunità. Soltanto chi rischia è in grado di superarsi, soltanto correndo qualche rischio, si può ottenere un successo.

Il rischio, va da sé, dev’essere ragionato, calcolato, altrimenti è pura incoscienza. Ma la ricerca del rischio minimo o, addirittura, del rischio zero produce stagnazione sociale, culturale, economica. In una parola, declino.

Per questo chi in queste ore critica le riaperture, scienziato o meno che sia, si fa paladino di una malintesa concezione del principio di precauzione: l’azzeramento dell’incertezza avrebbe costi di gran lunga superiori alla improrogabile urgenza di riaprire in sicurezza. Sappiamo bene che riaprire aumenterà il rischio di contagio ma talvolta è necessario assumersi un “rischio calcolato”. Lo ha detto a chiare lettere il primo ministro Boris Johnson: “Riaprire comporterà inevitabilmente più infezioni e, purtroppo, più ricoveri in ospedale e più morti, la gente deve saperlo”. In Italia milioni di famiglie affrontano una crisi economica senza precedenti: quasi nove punti di Pil in meno nel 2020, interi settori che rischiano di non riaprire mai più. È chiaro che la vera svolta è la vaccinazione: se tutti gli over 70 e le categorie fragili fossero già vaccinati, non dovremmo temere l’aumento di ricoveri e decessi. Purtroppo la somministrazione di dosi s’intensifica ma non al ritmo che auspicheremmo, nell’attesa che si arrivi alle 500mila iniezioni quotidiane è necessario rischiare ben sapendo che numerose attività si possono svolgere in presenza con rischi notevolmente ridotti se si sta all’aperto, si rispetta il distanziamento, si indossa la mascherina e magari ci si sottopone a un tampone rapido per maggiore cautela.

È questo il senso del “rischio ragionato” per scongiurare la pandemia economica. Sembra un’impresa impossibile, controcorrente, far passare l’idea che “il rischio è bello”, come diceva Platone. Il rischio è l’evento che può cambiarci la vita. Nella società della tecnica e della scienza, dei modelli matematici previsionali e dei calcoli delle probabilità, siamo ben poco disposti a tollerare qualcosa che si metta di traverso alle conquiste e alle sicurezze che per ciascuno di noi sono patrimonio ormai intangibile e inalienabile. Ma eliminando il rischio dalla nostra esistenza ci alieneremmo una infinita gamma di opportunità. Se non lasciamo spazio all’ “effrazione dell’inedito”, con le parole della filosofa francese Anne Dufourmantelle, ci condanniamo alla stasi del presente con un inevitabile depauperamento sociale, culturale, economico. Il rischio è la principale occasione per mettere in moto la libertà di decidere, per riattivare relazioni non più imbrigliate nella logica del controllo, per porci di fronte all’ignoto che alleva il desiderio, che ci consente di riconquistare la nostra vita vera. L’alternativa è restare prigionieri delle paure che ci paralizzano e ci fanno indietreggiare. Per queste ragioni la direzione di marcia indicata dal premier Draghi è vieppiù preziosa: non solo per i suoi risvolti politici ma anzitutto per il messaggio morale rivolto agli italiani in una fase cruciale per la ripartenza nazionale. I denari del Recovery plan non basteranno a farci tornare grandi se non mostreremo uno spirito dedito al lavoro e al rischio. Rischiare la vita, talvolta, è l’unico modo per non morire.

Annalisa Chirico

Redazione

 

 

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