Economia

Enel, la fabbrica di pannelli sarà negli Usa

L’ annuncio è arrivato sette giorni fa quasi clandestino in Italia ma con grande enfasi negli Stati Uniti. Lì ha portato con sé dichiarazioni euforiche di Joe Biden dalla Casa Bianca e dei capi nativi americani della Cherokee Nation e della Creek Nation. Riguardava gli Stati Uniti, ma un’azienda italiana: Enel costruirà a Inola, Oklahoma, un impianto per la produzione di pannelli fotovoltaici con un investimento da oltre un miliardo di dollari. A titolo di paragone, il progetto gemello di Catania è un investimento da 700 milioni di dollari. (Corriere della Sera)

E’ il caso di spiegare quel che sta accadendo nel caso oggi più emblematico, quello di Enel appunto. L’impianto di pannelli fotovoltaici di Catania è in realtà un centro di assemblaggio di celle di polisilicio e wafer importati dalla Cina, la quale domina ancora il mercato mondiale sia nel trattamento delle materie prime che nella produzione delle componenti (la Cina assicura la raffinazione dell’81% del polisilicio mondiale e produce il 78% delle celle, secondo l’Ocse). L’investimento da 700 milioni di dollari (650 milioni di euro) di Catania verrà pagato per un terzo con sussidi principalmente europei, in parte dall’Innovation Fund e in parte dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Si moltiplica così per 15 la capacità di Catania nel fotovoltaico, fino a assemblare pannelli in grado di produrre tre Gigawatt di elettricità all’anno. Del resto, ha senso. La pandemia e il trauma della guerra ucraina sembrano aver cambiato in profondità la psiche degli italiani, quanto al bisogno di autonomia energetica. In Italia Enel ha avuto e assicurato 50mila richieste di allaccio alla rete elettrica da famiglie e piccole imprese dotate di fotovoltaico nel 2021 e ben 200 mila nel 2022; nei primi tre mesi di quest’anno, gli allacciamenti richiesti sono già il triplo rispetto a un anno fa e si prevede che a fine anno saranno dieci volte più numerosi rispetto a due anni fa.

Chi investe in produzione di batterie, auto elettriche, pannelli fotovoltaici, turbine eoliche, idrogeno pulito e simili dispositivi, ha crediti d’imposta per il 40% dei suoi costi. In più l’Oklahoma si è messo in gara con il Vermont per chi pagava di più per attrarre Enel. E ha vinto. Senza neanche che l’azienda di dovesse prendere il disturbo di farsi autorizzare dalle autorità di concorrenza americane. Una tale larghezza di sussidi ammessi ha rapidamente stravolto anche le politiche di Bruxelles contro gli aiuti di Stato, perché decine le grandi imprese europee vogliono seguire l’esempio Enel. Un nuovo “quadro provvisorio” da marzo scorso autorizza i governi dell’Unione europea a sussidiare direttamente la produzione di tecnologie per generare energia pulita – purché siano all’avanguardia – e persino a offrire quanto offre l’America, se un’impresa è tentata di delocalizzare dall’altra parte dell’Atlantico. Con le nuove norme Enel avrebbe estratto molti più aiuti, anche per Catania. Ma soprattutto europei e americani – mi si spiega – sembrano molto vicini a un accordo per evitare di farsi la guerra industriale a colpi di sussidi. Gli americani avrebbero offerto due significative concessioni: batterie o materie prime strategiche prodotte in Europa sarebbero ammesse a beneficiare degli aiuti dell’Inflation Reduction Act, quando le componenti europee entrano nelle filiere di assemblaggio statunitensi; inoltre, in futuro l’idrogeno verde americano – un sostituto “virtuoso” del gas – potrebbe essere esportato in Europa agli stessi prezzi bassissimi praticati negli Stati Uniti. Significherebbe poter produrre acciaio, fertilizzanti o chimica in Europa senza inquinare e a costi competitivi.

Redazione

 

 

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