La politica tariffaria perseguita dall’amministrazione statunitense ha già comportato un incremento di 8 punti percentuali del livello effettivo dei dazi imposti all’UE. L’introduzione, nello scenario base, di un ulteriore dazio settoriale statunitense su beni critici porterebbe tale aumento complessivamente a 15 punti percentuali, con rischi orientati al rialzo alla luce delle recenti dichiarazioni del presidente Trump. Lo afferma Goldman Sachs in una ricerca firmata dagli economisti Filippo Taddei e Giovanni Pierdomenico. (Borsa Italiana)
Viene ricordato che i colloqui tra UE e Stati Uniti sono iniziati poco dopo l’annuncio, da parte degli USA, di nuovi dazi su acciaio e alluminio lo scorso febbraio. Finora, i negoziati hanno registrato progressi limitati, ma gli incontri di questa settimana potrebbero fornire indicazioni più chiare sulle aree di possibile convergenza. Il principale nodo critico è rappresentato dalla diversa interpretazione dei dazi attualmente in vigore: per gli Stati Uniti, essi rappresentano un punto di partenza che richiede concessioni sostanziali da parte dell’UE per evitare l’introduzione di nuove misure; per Bruxelles, invece, costituiscono un tetto massimo da ridurre per scongiurare ritorsioni.
Secondo Goldman Sachs, rimane ancora margine per colmare parte delle distanze, con un’intesa che potrebbe concretizzarsi nella fase finale prima della scadenza della moratoria sui dazi, prevista per il 9 luglio. L’amministrazione USA ha avanzato richieste all’UE su tre fronti principali: barriere tariffarie e non tariffarie verso le imprese statunitensi, approccio regolatorio del blocco europeo in materia di servizi digitali, e infine l’accesso al mercato dei prodotti farmaceutici. L’UE ha già risposto con due proposte: una riduzione generalizzata dei dazi (tariffe zero per zero sui beni industriali) e un incremento degli acquisti di beni statunitensi al fine di ridurre il disavanzo commerciale bilaterale.
L’attuale contesto può evolvere secondo uno di tre scenari, afferma la banca d’affari statunitense. Lo scenario base prevede che lo status quo venga prorogato oltre la fine della sospensione, con possibili concessioni minori da entrambe le parti, prima che gli Stati Uniti introducano un nuovo dazio settoriale su beni critici. In tale ipotesi, l’UE reagirebbe in modo moderato e dilazionato per evitare un’ulteriore escalation da parte statunitense. Tuttavia, questo equilibrio sarebbe “instabile”.
Il secondo scenario, definito “positivo” (sul modello dell’accordo UK-USA), prevede che gli USA attuino alcune esenzioni sui dazi attualmente in vigore e su quelli settoriali in fase di introduzione. In cambio, l’UE garantirebbe un miglior accesso al proprio mercato per beni e servizi e un incremento degli acquisti di beni statunitensi per circa 100 miliardi di euro. Tuttavia, questo scenario è considerato “poco probabile nel breve termine”.
L’ultimo scenario è quello di mancato accordo: gli Stati Uniti imporrebbero dazi reciproci del 20%, a cui l’UE risponderebbe con misure ritorsive più incisive, aumentando il rischio di un’escalation rapida e disordinata.
In ogni caso, Goldman Sachs ritiene che l’attività economica dell’area euro subirebbe un impatto rilevante in caso di introduzione di nuovi dazi USA. Stima un impatto sul PIL al 2026 di circa -0,7% nello scenario base, -0,4% nello scenario UK-like e -1% nello scenario no-deal. L’impatto sull’inflazione dovrebbe risultare moderatamente accomodante in tutti gli scenari, considerando l’effetto negativo derivante dall’eccesso di offerta globale e i fattori interni compensativi legati all’indebolimento della crescita e alle misure di ritorsione. “L’incertezza rimane elevata e le prospettive per l’attività e l’inflazione dell’area euro dipendono fortemente dall’andamento della crescita globale, dalle condizioni finanziarie e dall’evoluzione dei mercati valutari ed energetici”, si legge nella ricerca.