Internazionale

Primo test di Biden in politica estera: condannato il golpe in Birmania

Primo test in politica estera per Joe Biden, alla luce dell’arresto della leader birmana Aung San Suu Kyi nel giorno del giuramento del Parlamento. I suoi predecessori, Obama in primis, avevano appoggiato la leader anche tra il riserbo di altri occidentali, e avevano sottratto il paese dal controllo cinese.

Per Biden la democrazia va sempre difesa e la Birmania in particolar modo ha un ruolo strategico: è ricca di petrolio, diamanti e altre risorse naturali, si trova al confine tra l’India, “amica” dell’America, e la Cina, nemico della nazione a stelle e strisce, ed è coinvolta nella Belt and Road Initiative con cui Xi Jinping promuove il suo espansionismo.

Lo stesso Biden si è mostrato in prima fila nella condanna di quanto accaduto in Birmania: “Il colpo di Stato militare e la dichiarazione dello stato di emergenza sono un attacco frontale alla transizione verso la democrazia e allo Stato di diritto. La comunità internazionale deve reagire unita per fare pressione sui militari. Gli Stati Uniti abolirono le sanzioni contro la Birmania nel decennio scorso sulla base dei progressi verso la democrazia; siamo pronti a rivedere quella decisione”, ha dichiarato il neo eletto presidente. Diversa la reazione della Cina, che si è limitata all’auspicio di una risoluzione veloce delle dispute, senza condannare l’azione del gruppo militare, come racconta Repubblica.

Per Biden la crisi che si è aperta ha una doppia valenza, sia perché il rispetto dei diritti umani e dei principi democratici sono stati la sua bandiera personale, sia perché in gioco c’è l’influenza della Cina. Se gli Usa, infatti, adottano un comportamento troppo duro, i militari non faranno altro che rinforzare i loro rapporti con la Cina e il paese potrebbe finire nuovamente sotto l’influenza economica e politica di Pechino.

Redazione

 

 

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