Economia

Fincantieri spinge l’innovazione sostenibile della filiera

Il cambiamento scorre nelle vene silenziose dei rapporti di filiera. È come un fluido, che dall’alto — dalla capocommessa — percola giù giù fino all’ultima bottega artigiana incaricata della più piccola consegna. Nel caso — questo — della cantieristica navale, anche solo un cuscino, una modanatura, una borchia, un particolare di qualità in grado di fare la differenza. E di comunicare al mondo che il made in Italy dell’homo faber, anche nell’epoca delle intelligenze artificiali, è ciò che fa la differenza sul mercato. Visione, pensiero, tecnologia. Ma anche finanza, perché per fare l’impresa servono i capitali di rischio. Tutte componenti di una ricetta vincente che, per forza di cose e in particolare nell’assetto del quarto capitalismo nostrano, chi fa la traccia, la big company insomma, deve sforzarsi di portare fuori dal proprio perimetro e condividere con la propria supply chain. Dal distretto alla filiera il passo è stato breve. Ed è stato un passo non solo geografico, generato cioè dall’allargamento meta-distrettuale dei rapporti di fornitura, ma anche concettuale: le difficoltà nel rispondere proattivamente ai cambiamenti da parte dell’industria del bianco prima e dell’automotive poi hanno infatti reso evidenti gli effetti collaterali — l’impoverimento della supply chain fino alla sua desertificazione — di un approccio unidirezionale basato sull’estrazione pura di valore. (Corriere della Sera)

Ecco dunque avanzare un approccio più circolare, dove innovazione e informazione corrono in maniera bidirezionale. Quest’idea di democratizzazione dell’innovazione, per la verità, era già presente fra le righe del testo del Piano Calenda nel 2016, la misura che portò in Italia il verbo di Industria 4.0 e che, a detta dei più, rappresenta tutt’oggi l’ultima vera azione di politica industriale del nostro Paese. Un’idea che ha faticato non poco a prendere piede, ma che qualcuno ha dovuto per forza di cose mettere a terra, pena l’estinzione della sua filiera. È il caso di Fincantieri. La società triestina controllata al 71,3% da Cdp Industria, finanziaria di Cassa depositi e prestiti e a oggi primo gruppo navale d’Europa e quarto a livello mondiale, ha appena chiuso il periodo gennaio-settembre con ricavi per 6,725 miliardi di euro, in aumento del 20,5% rispetto allo stesso periodo del 2024, e con una crescita a doppia cifra anche per l’Ebitda a 461 milioni, a +40,4% con una incidenza sui ricavi al 6,9%.

Numeri in crescita, margini in miglioramento e un portafoglio ordini record tra cantieristica civile (a partire dall’ultima commessa miliardaria per la nave da crociera extra lusso destinata a Regent Seven Seas Cruises), difesa (la gara per tre sottomarini di classe Orka per la Polonia)e innovazione tecnologica, il gruppo guidato dall’amministratore delegato Pierroberto Folgiero è oggi al lavoro per presentare il nuovo piano industriale. D’altronde l’impatto socioeconomico di un player globale come Fincantieri, punto di riferimento per il settore nazionale della navalmeccanica, si estende in gran parte del territorio italiano, in particolare su una filiera estesa e ad alta specializzazione composta da circa settemila imprese italiane (oltre 12 mila a livello internazionale) di varia taglia e specializzazione produttiva, dalla carpenteria alla meccanica di precisione, dagli impianti agli arredi di bordo, generando complessivamente un fatturato di 300 miliardi di euro e un ordinato di 4,5 miliardi.

Parliamo generalmente di piccole e medie realtà produttive, a cui negli ultimi mesi si aggiungono anche le prime startup sostenute dal recente piano di corporate venture capital realizzato sul modello di quello già attivo in A2A e che ha messo a disposizione dieci milioni di euro in collaborazione con Cariplo Factory per portare in azienda idee innovative ma ancora non industrializzate. «Il nostro ecosistema industriale — spiega Pierroberto Folgiero — si conferma leva fondamentale per generare valore, occupazione qualificata e sviluppo tecnologico». Ciò permette a una filiera eterogenea dal punto di vista della stazza, di accedere a progetti di alta complessità e a mercati difficilmente raggiungibili, sviluppando tecnologie che trovano applicazione anche in altri comparti industriali. A rafforzare il modello da qualche anno sta contribuendo anche quello che nella capogruppo chiamano supply chain welfare, «un modello operativo — prosegue il manager — che ci consenta di supportare i partner non solo nella produzione, ma anche nella transizione digitale, finanziaria e gestionale, contribuendo a consolidare una rete veramente resiliente e competitiva rispetto ai mutamenti che sono in corso nella nostra industria».

Una sorta di rating di filiera allargato insomma che, attraverso strumenti di finanza alternativa, piattaforme digitali per gli approvvigionamenti e percorsi condivisi di crescita e formazione, vuole fidelizzare la catena di fornitura, rafforzandone le competenze e favorendo la diffusione dell’innovazione. Fincantieri, sul tema, ha calcolato che, per ogni 100 euro prodotti internamente, si attivino complessivamente 405 euro nel sistema economico. Con oltre 60 miliardi di euro di carico di lavoro previsto per i prossimi dieci anni, nuovo record di sempre, il contributo di Fincantieri all’economia nazionale e territoriale cresce ulteriormente, grazie anche all’80% di acquisti di beni e servizi realizzati in Italia. L’azienda agisce come system integrator, mettendo a sistema competenze, know-how e filiere, con ricadute che vanno ben oltre la cantieristica. «Ogni nave, ogni progetto che realizziamo – conclude Folgiero – rafforza il posizionamento del Made in Italy nei segmenti industriali a più alto contenuto tecnologico, sostenendo una nuova competitività del sistema produttivo italiano a livello globale e nel lungo termine».

Redazione

 

 

Articoli Correlati

Lascia un commento

Back to top button
Do NOT follow this link or you will be banned from the site!