La sveglia è suonata in piena notte. Alle 23 e 59 di venerdì 10 maggio, quando dagli uffici del Tesoro è partita una mail indirizzata alla Commissione finanze del Senato. Dopo quasi un lustro, per la prima volta, il governo ha proposto al Parlamento una misura per contenere il deficit pubblico. Poca roba per i conti italiani, un taglio dell’indebitamento pari solo allo 0,1 per cento del prodotto interno lordo. Due miliardi e mezzo di euro tra l’altro spalmati in due anni attraverso una stretta sui crediti del Superbonus e una mini tassa sulle bevande zuccherate. Ma è il segnale che la ricreazione è finita. Dopo quasi cinque anni in cui tutti i governi hanno potuto finanziare le proprie politiche “a debito”, facendo spesa aggiuntiva per quasi 300 miliardi, torna il vincolo esterno dei parametri europei. Domani la Commissione presenterà le previsioni economiche di primavera. Sarà il primo documento che gli Stati avranno a disposizione per capire la correzione dei conti a cui saranno chiamati con le nuove regole comunitarie. Il 19 giugno, come ha ricordato il Commissario europeo al Bilancio Paolo Gentiloni, ci sarà l’annuncio di un certo numero di procedure di infrazione. E l’Italia, con un debito a ridosso del 140% del Pil e un deficit sopra il 4%, sarà nella lista. L’estate per il governo sarà di lavoro e particolarmente calda. Entro il 20 settembre dovrà presentare ai partner europei il suo Piano di bilancio strutturale. Un documento che dovrà tracciare la rotta che intende seguire sui conti pubblici per tutta la legislatura. Una rotta basata sul contenimento della spesa corrente, e che dovrà mettere sotto stretto controllo le uscite per pensioni, personale pubblico, enti locali, e dalla quale sarà difficile deviare. Lo ha ben spiegato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio la settimana scorsa in Parlamento, dove ha consegnato una lunga e approfondita relazione sugli impatti della nuova governance europea. C’è un punto sul quale i tecnici guidati da Lilia Cavallari si sono soffermati in particolare e riguarda proprio la nuova procedura che dovrà essere seguita dal governo se vorrà deviare dal percorso concordato con l’Europa. (Messaggero)
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