FINANZA

Lo spread ai minimi dal 2009: perché i mercati promuovono l’Italia

Lo spread tra il Btp decennale e il Bund tedesco certifica un nuovo momento di distensione sul debito sovrano italiano, scendendo sotto la soglia psicologica dei 70 punti (con un minimo intraday di 69,9 punti), anche se poi chiude a 70 punti, in calo dai 72 punti di martedì sera, mentre il rendimento arretra al 3,44% dal precedente 3,47%. (Corriere della Sera)

La flessione, che riporta il differenziale sui livelli del dicembre 2009, durante il governo Berlusconi IV (prima dell’aggravarsi della crisi dell’eurozona), conferma che l’Italia è ormai considerata dagli investitori un Paese stabilmente più sicuro rispetto al passato.

Il premio di rischio chiesto dai mercati a Roma rispetto alla Germania vale circa 0,7 punti percentuali. L’aspetto più sorprendente, però, è il sorpasso sulla Francia. Il fatto che il nostro spread sia ormai stabilmente inferiore a quello dei titoli francesi (Oat) — 75 punti — indica che le gerarchie in Europa si sono ribaltate e oggi gli investitori considerano il debito italiano più sicuro di quello di Parigi.

Come ci dice l’economista Mohamed El-Erian: «Il mercato obbligazionario europeo racconta una storia affascinante di inversione dei ruoli. I titoli di Stato italiani continuano a sovraperformare, infrangendo ancora un altro livello psicologico di mercato. Questa tendenza riflette non solo sviluppi positivi a Roma, ma sfide significative altrove in Europa».

Il ritorno dello spread a 70 punti chiude idealmente il ciclo di volatilità cominciato nel 2011. Fino al 2009 lo spread Btp-Bund oscillava fisiologicamente sotto i 100 punti base, riflettendo un mercato che prezzava in modo omogeneo il debito dell’area euro.

Poi lo choc del 2011, con i dubbi sulla sostenibilità del debito dei Paesi periferici, soprannominati Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna), e la crisi di fiducia sulla tenuta dell’euro. Nell’agosto 2011 la lettera della Bce, firmata dal presidente della Bce Jean-Claude Trichet e dal suo successore in pectore Mario Draghi, impone a Roma riforme urgenti.

Lo spread comincia a correre. Fino al record storico di 575 punti base toccato il 9 novembre 2011, mentre il rendimento sale oltre il 7,25%. L’Italia è a un passo dal default tecnico. Silvio Berlusconi si dimette il 16 novembre e gli subentra il governo guidato da Mario Monti, nominato senatore a vita.

La svolta però arriva nel luglio 2012 con il «Whatever it Takes» di Mario Draghi pronunciato a Londra, dove il banchiere centrale annuncia che «nell’ambito del proprio mandato, la Bce è pronta a fare qualsiasi cosa per salvare l’euro». Una frase che ferma la speculazione: lo spread comincia la sua lenta discesa, passando dai 473 punti di quei giorni a livelli più sostenibili. Il programma di acquisto di titoli di Stato varato dalla Banca centrale europea nel 2015 per combattere la deflazione, il cosiddetto Quantitative easing, continua a comprimere progressivamente i premi al rischio.

La tregua si rompe nel 2018: la nascita del governo giallo-verde (Conte I) e i timori di euroscetticismo riportano lo spread sopra i 300 punti. Poi, nel 2020, la pandemia del Covid innesca una nuova fiammata (con lo spread oltre 250 punti), spenta subito dal bazooka della Bce, che lancia un nuovo programma di acquisti d’emergenza (Pepp) per rispondere alla tempesta economica e finanziaria.

La discesa del differenziale riflette un cambio di percezione più profondo. «L’Italia attualmente si distingue come un Paese governato con prudenza, mentre altre grandi economie faticano a prendere decisioni difficili», osserva El-Erian. «L’aggiustamento fiscale e le riforme strutturali della Francia rimangono sfuggenti in un momento in cui il recente processo di bilancio del Regno Unito, sia nella fase preparatoria che nelle conseguenze, si è rivelato insolitamente disordinato. Nel frattempo, il governo tedesco appare sempre più incapace di dare seguito ai propri segnali politici. Il risultato? Gli investitori stanno premiando la gestione politica italiana mentre rivalutano il rischio nel tradizionale “core”».

Redazione

 

 

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