Le imprese italiane hanno deciso di scommettere sul mercato Usa. In piena tempesta dei dazi (sia pure sospesi, e con segnali di schiarite sui negoziati in corso). Nonostante il protezionismo di Trump. O forse anche a causa di quello. È una storia istruttiva, anche perché rivela una certa divaricazione tra il clima politico-mediatico e le strategie dei nostri imprenditori. Va a favore di questi ultimi, che hanno i piedi per terra, fanno i conti con la realtà, prescindono dalle ideologie. (Corriere della Sera)
Pochi giorni fa qui a New York c’è stata la presentazione di una iniziativa dell’Agenzia per il commercio estero, ICE, che ora almeno qui negli Stati Uniti si chiama ITA-Italian Trade Agency. Veniva presentata la terza edizione di «Italy on Madison», una tre giorni dedicata alla cultura del Made in Italy, alla promozione di tutte le nostre eccellenze. In quelle giornate dal 13 al 15 maggio la sede dell’ITA – all’incrocio fra la Madison Avenue e la 67esima Strada – viene ammobiliata con oggetti del design prodotti nel nostro paese, e ospita a rotazione prodotti di cinque settori industriali: moda, design, bellezza (profumi e cosmetici), food&wine (enogastronomia), viaggi e benessere.
La tre giorni sarà costellata di eventi ad hoc. Si rivolge a varie categorie di pubblico americano: importatori, distributori, grandi acquirenti, stampa locale specializzata nei vari settori. Non è una novità visto che siamo alla terza edizione. La novità – e forse la sorpresa – sta nel numero di aziende italiane che hanno deciso di partecipare: ben novanta. Sono in netto aumento rispetto alle edizioni precedenti. Non sto ad elencarvi i nomi, vista la lunghezza della lista, né vi propongo delle selezioni arbitrarie che farebbero arrabbiare gli esclusi. Comunque sono tutte notizie pubbliche, potete andare a curiosare nella lista degli espositori sul sito www.italyonmadison.nyc e potete seguire aggiornamenti sugli eventi andando su @extraitastyle su Instagram.
La vera notizia qui è che gli imprenditori italiani non vogliono affatto abbandonare il mercato americano. Non si sognano proprio di farsi del male in questo modo. Dazi o non dazi. Trump o non Trump. Anzi, l’aumento delle aziende espositrici rispetto alle edizioni precedenti – che avvenivano in un clima più positivo e tranquillo – dà un’indicazione precisa.
Un’altra osservazione è interessante. Ci sono diversi gruppi italiani pronti a trasferire parte delle loro produzioni negli Stati Uniti, e tuttavia quando fanno delle simulazioni sui costi locali (manodopera e tutto il resto) a volte arrivano alla conclusione che produrre in Italia può restare competitivo perfino con i dazi.