Tra i protagonisti del made in Italy non siamo abituati ad annoverare anche l’industria degli articoli per lo sport. Parliamo in prevalenza e con continuità solo di altre specializzazioni (food, design, meccanica, moda). E sbagliamo. Perché, numeri alla mano, la manifattura dello sport outdoor oggi si impone addirittura come capofila europeo. Un dato su tutti: siamo primi nella produzione comunitaria con il 22%, seguiti dall’Austria con il 14,8, dalla Germania con il 14,7 e dalla Francia con il 12,9. A illuminarci su questa realtà poco raccontata e un po’ snobbata è il report pubblicato in questi giorni dall’Area Studi di Mediobanca che mette in fila i numeri del made in Italy, analizza le principali 82 imprese, ci dà il ranking italiano del settore e, insieme, un’analisi dei punti di forza. (Corriere della Sera)
«Si tratta di una leadership in parte sorprendente — commenta il direttore Gabriele Barbaresco — poiché restiamo uno dei popoli più sedentari d’Europa. E non a caso le fortune del settore vengono dall’export». L’Italia è infatti l’unico Paese europeo (con Belgio e Polonia) che riesce a resistere alla concorrenza che viene dalla Cina e dal Vietnam, rimanendo con una bilancia commerciale positiva di 3,3 miliardi di euro di esportazioni contro 2,7 miliardi di importazioni. Il gap a favore delle vendite vale ancora di più se si conteggiano i soli Paesi extra Ue.
La leadership del prodotto sportivo italiano si legittima grazie al primo posto negli articoli per la ginnastica e l’atletica, le calzature sportive, i fucili da tiro, l’abbigliamento per l’acqua e gli sci/pattini. Siamo invece secondi in Europa, dietro l’Austria, nella produzione per gli sport invernali e nel tennis. Terzi nella produzione per il cycling.
Un’altra sorpresa nel report Mediobanca riguarda la dimensione media delle imprese: mentre in assoluto le nostre piccole e medie imprese manifatturiere hanno un perimetro più ristretto delle concorrenti europee, nel settore degli articoli sportivi la comparazione si rovescia. Sono le nostre a essere relativamente più grandi con un fatturato medio di 3,4 milioni contro gli 1,5 della Ue. E si presentano anche come aziende inclusive con un tasso di presenza di giovani e donne superiore alla media delle manifatturiere.
Nel 2023 il giro d’affari o delle 82 aziende nel campione Mediobanca si è attestato a 11 mila 728 milioni con un progresso stimato dello 0,4% nel 2024 e grazie alla collaborazione di 50 mila 800 dipendenti.
Dal punto di vista della specializzazione produttiva, il made in Italy dello sport outdoor vede prevalere quantitativamente gli articoli per la montagna con il 29% del campione, seguiti dalle aziende distributive generaliste con il 26,5, le imprese multisport con il 14,5%, il ciclismo con l’11,2% e il motorsport con il 10,1%. Per quanto riguarda l’organizzazione produttiva, le nostre imprese si presentano con un alto tasso di concentrazione; la produzione è in-house nell’88,1% dei casi mentre nel resto d’Europa diversi impianti sono localizzati in Bulgaria e Romania, dove sono collocati distretti europei di articoli sportivi.
Mediobanca analizza anche la distribuzione territoriale e ci restituisce la fotografia di un’industria concentrata nelle regioni settentrionali. Il Veneto da solo produce il 36%, il Trentino Alto Adige un 20% e la Lombardia un restante 17%. Spicca nella mappa dello sport outdoor il distretto dello sport system di Asolo e Montebelluna, che detiene la leadership mondiale delle calzature tecniche e invernali. Mediobanca lo descrive così: «Si tratta di una comunità caratterizzata da una forte coesione sociale, una sana rivalità imprenditoriale e una fitta rete relazionale».
Ma chi sono i protagonisti industriali di questo inaspettato successo? Va detto innanzitutto che il 75% dei ricavi è realizzato da imprese a capitale italiano e solo un quarto da compagnie straniere. Nel ranking il primo posto se lo aggiudica la famiglia altoatesina Seeber con la loro Hti (High Technology Industries) che produce tecnologie per gli sport invernali con un fatturato attorno a 1,5 miliardi. Seconda, di un soffio, la multinazionale della distribuzione Decathlon controllata dalla famiglia francese Mulliez. Al terzo posto un campione del wellness come la Technogym fondata da Nerio Alessandri con 806 milioni, seguita da Cisalfa con 709 e da Tecnica Group con 540.
Passiamo alle prospettive. Secondo il report, il fatturato 2025 dovrebbe crescere del 3% superando così la quota simbolica dei 12 miliardi. Vista l’importanza degli Stati Uniti come mercato di sbocco (secondo dopo l’Europa), gli imprenditori del settore seguono con attenzione il dossier dazi e le giravolte di Donald Trump. Il 50% degli industriali interpellati da Mediobanca si dichiara preoccupato per la politica tariffaria seguita da Washington. Ma una quota decisamente superiore, il 63,3%, è ancora più in ansia per l’inasprimento della concorrenza di prezzo, un modo per sottolineare i rischi di un’invasione a sconto dei prodotti cinesi in Europa soprattutto nell’abbigliamento sportivo. La strategia delle imprese italiane privilegia però la difesa del vantaggio competitivo impegnandosi in produzioni sempre più innovative e a valore aggiunto, infatti solo il 9,1% si dice preoccupato per una perdita di leadership sulla qualità. Malgrado i dazi, gli industriali sono fiduciosi sulla crescita dei ricavi per altri due motivi: l’aumento della pratica sportiva in Italia (siamo sempre meno sedentari) e le prospettive delle vendite sul mercato asiatico, dove siamo per ora poco presenti.