Dal divorzio della Brexit non si torna indietro, ma per Londra e Bruxelles è tempo di riavvicinarsi, e non solo a parole. Di tornare a condividere e custodire insieme, in qualche misura, quella casa comune che si chiama Europa: fra conflitti, minacce e turbolenze geopolitiche epocali. (Ansa)
E’ il senso del messaggio che Keir Starmer, Antonio Costa e Ursula von der Leyen hanno cercato di articolare sotto le volte della Lancaster House, annunciando un pacchetto d’intese per dar vita a una nuova “Partnership Strategica Gb-Ue” (dalla difesa, ai commerci, alla mobilità giovanile).
A nove anni dal referendum che sancì l’addio dell’isola dal club continentale e a cinque dall’entrata in vigore degli accordi di separazione. Un “reset” che il premier laburista aveva evocato fin dal suo avvento a Downing Street dieci mesi fa, dopo 14 anni di governi conservatori.
“E’ tempo di guardare avanti, di mettersi alle spalle vecchi dibattiti e scontri politici” per affrontare con “soluzioni pratiche” i contraccolpi più negativi della Brexit, ha detto Starmer chiudendo il summit con il presidente del Consiglio europeo e la presidente della Commissione. Mentre le note dell’Inno alla Gioia tornavano a risuonare nel cuore di Londra. Il contesto è quello di “una nuova era”, di “un nuovo capitolo” che si apre, ha poi insistito all’unisono con von der Leyen.
Con il Regno e l’Unione in veste di “partner, amici e alleati”, ma “indipendenti e sovrani”, hanno sottolineato entrambi: escludendo dunque – almeno in un qualsiasi futuro prevedibile – la retromarcia dal divorzio suggellato dal voto popolare del 2016 (a dispetto dei rimpianti della cosiddetta “Bregret”).
O anche solo rispetto all’uscita dell’isola dal mercato unico, dall’unione doganale e soprattutto dal circuito della libertà di movimento delle persone: incompatibile con la linea dura sull’immigrazione fatta propria dal Labour in salsa moderata di sir Keir. Un momento “storico”, comunque, nelle parole della numero uno dell’esecutivo europeo, celebrato – a conclusione di questo primo vertice bilaterale del dopo Brexit, destinato a ripetersi d’ora in avanti con cadenza annuale – da un pranzo a tre a bordo della ‘Belfast’, incrociatore della Seconda Guerra Mondiale e vecchia gloria della Royal Navy ormeggiato nel Tamigi. Scelta non casuale, tenuto conto dell’importanza accreditata dal “nuovo partenariato” al “patto su difesa e sicurezza” sottoscritto fra i documenti odierni: accordo quadro che – sull’onda dell’asse già emerso di fronte alla guerra fra Russia e Ucraina, del progetto di una “coalizione di volenterosi” a guida anglo-francese chiamata a garantire la sicurezza postbellica di Kiev e dei tentativi di riassestare il legame transatlantico con gli Usa di Donald Trump – mira a spianare la strada ad appalti militari comuni e all’ingresso di Londra del Safe, il fondo da 150 miliardi di euro per il riarmo Ue.
Per il resto il deal prevede un parziale alleggerimento dei vincoli commerciali nell’agroalimentare (con la ripresa delle esportazioni di hamburger, salsicce e altri prodotti dal Regno al continente) in cambio di un riallineamento britannico a parte delle regole veterinarie e fitosanitarie europee. Poi un’intesa su cooperazione energetica e quote delle emissioni a beneficio delle bollette; un’estensione di 12 anni dell’accordo sulle limitazioni di pesca (gradita alla Francia); e l’impegno a definire uno schema di visti facilitati per gli under 30, seppure con tetti e dettagli ancora tutti da elaborare, e la riadesione del Regno al programma di scambi di studenti Erasmus+, in cambio di concessioni ai viaggiatori d’oltre Manica sull’uso degli e-gate aeroportuali riservati ai cittadini Ue ai controlli passaporti. Pacchetto soggetto a ulteriori negoziati tecnici sui dossier chiave degli appalti bellici, come sulla mobilità giovanile o sulle barriere nei commerci.
Ma che Starmer assicura foriero di “risultati reali e tangibili” per il mondo del lavoro e il business. Oltre che per “l’interesse nazionale” di un Regno Unito che “torna ad affacciarsi sulla scena mondiale” puntando a rafforzare “le relazioni che sceglie con i partner che sceglie” – l’Ue, gli Usa o l’India – come “fanno tutti gli Stati sovrani”. Non senza stimare un ritorno economico da “9 miliardi di sterline entro il 2040”. “
Un accordo win win”, insomma, che dovrebbe portare solo vantaggi reciproci; e che però suscita reazioni contrastanti sull’isola. Dove il governo locale scozzese denuncia “cedimenti” sulla pesca; e la leader dell’opposizione Tory, Kemi Badenoch, accusa il premier laburista di voler “riportare indietro il Paese”, “svendere i nostri pescatori”, sottomettere il Regno a norme europee e costringere i contribuenti a versare “centinaia di milioni” nel bilancio di Bruxelles. Mentre Nigel Farage, ex tribuno della Brexit e alfiere trumpiano di Reform Uk, liquida quanto andato in scena a Lancaster House alla stregua di una resa, anzi di “una capitolazione”: onta da cancellare ove mai Reform – in ascesa travolgente negli ultimi sondaggi – arrivasse davvero a Downing Street.
È un importante accordo di partnership strategica post-Brexit tra Regno Unito e Ue quello concluso a Londra dal premier britannico Keir Starmer e dai rappresentati dell’Unione, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa.