L’inflazione impatta sui beni di prima necessità, come il cibo. In cinque anni i prezzi degli alimentari hanno subito in Italia un’impennata di quasi il 25%, ben superiore al tasso di inflazione generale, spinti soprattutto tra il 2022 e il 2023 dallo «shock» sui listini dell’energia. Lo rendo noto l’Istat nella nota sull’andamento dell’economia di novembre. «Da ottobre 2021 a ottobre 2025, i beni alimentari hanno registrato aumenti di prezzo del 24,9%, un incremento superiore di quasi 8 punti percentuali rispetto a quanto evidenziato nello stesso periodo dall’indice generale dei prezzi al consumo armonizzato (+17,3%)», scrive l’Istituto di statistica. (Sole 24 Ore)
A pesare sull’impennata, spiega l’Istituto, è stato lo “shock” energetico tra il 2022 e il 2023, che ha inciso sui costi di produzione e di trasporto, amplificando l’effetto sui listini di pasta, pane, latticini, carne e ortaggi. Il rialzo dei prezzi ha poi innescato una spirale che ha coinvolto l’intera filiera alimentare, dai fertilizzanti alle confezioni, fino alla logistica.
Negli ultimi mesi l’inflazione ha rallentato, ma i livelli raggiunti restano elevati: le famiglie continuano a pagare di più, soprattutto per i beni primari. Secondo l’Istat, il carovita si è ormai radicato nei comportamenti di consumo. Molti nuclei hanno cambiato abitudini, riducendo la qualità o la quantità dei prodotti acquistati, mentre la grande distribuzione ha visto crescere le vendite dei marchi “low cost” e delle private label.
Il confronto europeo mostra un quadro simile ma meno accentuato: nell’Eurozona i prezzi alimentari sono aumentati in media del 20%, segno che in Italia l’impatto della crisi energetica e delle tensioni sui mercati internazionali è stato più forte.
Gli analisti prevedono una lenta normalizzazione nel 2026, ma avvertono che i margini di discesa saranno limitati: il calo dei costi energetici non basta, e il clima di incertezza sui mercati agricoli globali — dai conflitti ai dazi — rischia di mantenere alta la pressione sui prezzi.





