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Germania, l’allarme choc degli industriali: «È la crisi peggiore dal 1949»

Ancora cattive notizie dalla Germania. Peter Leibinger, presidente della BDI, la Confindustria tedesca, sostiene che il clima nel Paese è «estremamente negativo, in parte addirittura aggressivo». E che «le aziende sono profondamente deluse». In un’intervista alla Süddeutsche Zeitung, emerge un quadro allarmante anche per l’Italia, di cui la Germania è il principale partner commerciale. (Corriere)

Viene definita come «la crisi economica più grave dalla fondazione della Repubblica Federale» nel 1949, afferma Leibinger. Non si tratta di una semplice congiuntura negativa ciclica, ma di una crisi strutturale profonda, sottolinea. Il timore è di una «deindustrializzazione irreversibile». Se un uomo noto per la moderazione e i toni pacati usa toni apocalittici, significa che la situazione è estremamente grave. I «campanelli d’allarme devono suonare», perché il modello economico tedesco è sotto attacco su più fronti: costi dell’energia, burocrazia, competizione globale, avverte il numero uno degli industriali.

I numeri gli danno ragione. Nonostante la «rivoluzione» del Cancelliere Merz, che in primavera ha allentato il freno al debito previsto dalla costituzione, esentando le spese militari e stanziando 500 miliardi di investimenti (nell’arco di 10-12 anni) in infrastrutture e digitalizzazione, l’economia reale ristagna. Berlino chiuderà l’anno con un Pil stimato tra 0 e +0,1%, secondo il Consiglio degli esperti economici, e quasi 3 milioni di disoccupati prevede l’Ifo (il settore manifatturiero ha perso oltre 500 mila posti di lavoro dai picchi pre-Covid), mentre il tasso di disoccupazione è salito al 6,3%.
Peraltro, anche la fiducia delle aziende tedesche risulta ai minimi storici: l’Ifo Business Climate Index, che misura il sentiment degli imprenditori, è sceso a 87,6 punti dagli 88,1 di novembre, sotto attese (per un dato a 88,2 punti).

Il simbolo di questo declino è l’industria automotive. Il settore, fiore all’occhiello del Made in Germany, deve fare i conti con la concorrenza aggressiva dei veicoli elettrici cinesi a basso costo e gli alti costi energetici. I ritardi nell’innovazione digitale e nelle batterie, inoltre, hanno reso colossi come Volkswagen vulnerabili, portando a piani di ristrutturazione e chiusure di impianti che fino a pochi anni fa erano impensabili.

A complicare il quadro economico c’è la dimensione geopolitica. La Germania teme l’espansionismo russo più di ogni altro grande Paese occidentale. In un recente incontro a Villa Vigoni dedicato al Dialogo italo-tedesco, più di un imprenditore ha espresso la convinzione che in Germania non è tanto una questione di «se» ma di «quando» Mosca attaccherà l’Europa. Il riarmo di Berlino risponde dunque a una paura reale della società.

Il problema è che i soldi per le infrastrutture (ponti, ferrovie) sono lenti da spendere a causa della burocrazia tedesca. Inoltre, la riforma del nuovo governo ha aiutato la difesa (Rheinmetall, Hensoldt) e l’edilizia pubblica, ma non ha abbassato i costi operativi immediati per le aziende private energivore. Le tasse sulle imprese rimangono tra le più alte dell’Ocse e il prezzo dell’elettricità è ancora doppio rispetto agli Stati Uniti o alla Cina. Leibinger nota che, nonostante i soldi, c’è una «atmosfera aggressiva» contro il governo perché le aziende non vedono sollievo nei loro bilanci attuali, ma solo promesse di cantieri futuri.

Invece la Cina ha studiato meticolosamente il «Modello Germania», basato su un forte surplus commerciale, manifattura avanzata e le hidden champions, cioè le medie imprese leader mondiali. Pechino non si è infatti limitata a comprare prodotti tedeschi; ha usato gli ultimi 20 anni per assorbire la tecnologia e i processi produttivi tedeschi, spesso tramite joint venture forzate. Ora la Cina ha replicato quel modello ma su una scala immensamente più grande e con costi inferiori. Non hanno più bisogno dei macchinari tedeschi perché sono loro a produrli e a venderli sul mercato globale, diventando diretti concorrenti della Germania nei settori ad alto valore aggiunto (auto elettriche, macchinari industriali, chimica).

Redazione

 

 

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