Boom dell’occupazione al Sud, con 100mila giovani in più al lavoro nell’ultimo triennio, ma aumenta l’esodo, con 175mila che emigrano. Lo evidenzia il rapporto Svimez 2025. Tra il 2021 e il 2024 il Mezzogiorno ha registrato un incremento dell’occupazione pari all’8%, contribuendo per oltre un terzo al milione e quattrocentomila nuovi occupati a livello nazionale. Il Centro-Nord ha aggiunto circa 900mila posti, il Sud quasi 500mila, sulla spinta di Pnrr e investimenti pubblici. Nel triennio gli under 35 occupati sono aumentati di 461mila unità a livello nazionale, di cui 100mila nel Sud. Il tasso di occupazione giovanile cresce più al Sud (+6,4 punti), ma resta molto più basso rispetto al Centro-Nord (51,3% contro 77,7%). Nonostante il boom occupazionale, il Mezzogiorno non trattiene i giovani. Tra i due trienni 2017-2019 e 2022-2024 le migrazioni dei 25-34enni italiani sono aumentate del 10%: nell’ultimo triennio 135mila giovani hanno lasciato l’Italia e 175mila hanno lasciato il Sud per il Nord e l’estero. Un paradosso evidente, segnala il rapporto: più lavoro ma non migliori condizioni di vita, né opportunità professionali adeguate alle competenze. (Corriere)
Dal 2021 al 2025 i salari reali italiani hanno perso potere d’acquisto, con una caduta più forte nel Sud: -10,2% contro -8,2% nel Centro-Nord. Inflazione più intensa e retribuzioni nominali più stagnanti accentuano il divario. In Italia i lavoratori poveri sono 2,4 milioni, di cui 1,2 milioni al Sud. E tra il 2023 e il 2024 il loro numero è aumentato: +120mila in Italia, +60mila al Sud. Dunque, rimarca il rapporto, non basta avere un’occupazione per uscire dalla povertà: bassi salari, contratti temporanei, part-time involontario e famiglie con pochi percettori ampliano la vulnerabilità, chiedendo che “la povertà lavorativa torni nell’agenda politica”. Nel 2024 le famiglie povere sono cresciute nel Mezzogiorno dal 10,2% al 10,5%.
La Zes Unica “rappresenta uno dei tentativi più ambiziosi degli ultimi anni di trasformare la politica industriale in chiave realmente territoriale“. Dall’attuazione del nuovo intervento emergono alcuni importanti tratti. La nuova governance, si legge, ha sicuramente prodotto un’accelerazione procedurale, con una riduzione significativa dei tempi medi per ottenere tutti i titoli necessari per avviare un investimento produttivo – passati in media da più di 98 giorni a quasi 54. Tra marzo 2024 e novembre 2025 sono state rilasciate 865 autorizzazioni, per 3,7 miliardi d’investimenti. Puglia, Campania e Sicilia emergono come i poli più reattivi, più indietro Sardegna, Abruzzo e Basilicata. Tra gli sviluppi più recenti, si sottolinea come la Legge di Bilancio 2026 abbia esteso al triennio 2026-2028 il credito d’imposta Zes Unica, con risorse pari a 2,3 miliardi per il 2026, 1 miliardo per il 2027 e 0,75 miliardi per il 2028. Si tratta di “un’estensione pluriennale che riduce l’incertezza per le imprese, consentendo una pianificazione piu’ stabile degli investimenti”.
Il rapporto evidenzia anche come la partecipazione delle donne al mercato del lavoro rimanga tra più basse d’Europa, nonostante i segnali positivi registrati tra il 2021 e il 2024. Le donne studiano di più, si laureano prima e con voti più alti ma poi lavorano di meno e con salari più bassi: il 31% delle 25-34enni donne con titolo terziario rispetto al 21% uomini, si evince ancora dal rapporto, sottolineando che al Sud il tasso di occupazione delle madri con tre o più figli si attesta poco sopra il 30%. Il tasso di occupazione femminile, pur in crescita, è ancora lontano dagli standard europei e presenta forti divari tra Centro-Nord e Mezzogiorno. Inoltre, prosegue il rapporto, la condizione familiare incide profondamente sulla partecipazione femminile al lavoro. Nel 2024, ad esempio, le donne senza figli registrano i tassi di occupazione più elevati (63,6% a livello nazionale), con forti divari territoriali tra Nord (71%) e Mezzogiorno (45,8%). Tra le madri, le differenze si accentuano: nel Sud l’occupazione delle donne con uno o due figli è molto bassa (41,8% e 43,6%), mentre crolla al 30,8% per chi ha tre o più figli, segno del peso crescente del lavoro di cura in contesti poveri di servizi. Il confronto europeo mostra un gap ancora più ampio: l’Ue, evidenzia ancora lo Svimez, mantiene tassi elevati anche tra le madri, con differenze minime rispetto alle donne senza figli, e nei paesi nordici l’occupazione femminile resta molto alta grazie a un welfare più solido.





