Pil in frenata e crisi export in Emilia-Romagna, la sveglia di Confindustria: «I costi dell’energia rischiano di rompere le nostre fondamenta»
La presidente Bonfiglioli: «Nei Tribunali del territorio si stanno aprendo procedure per aziende energivore piccole come fonderie, ceramica e vetro»
Crisi dell’automotive? «È solo l’inizio, Cina pronta al sorpasso su tutto»: l’allarme di Sonia Bonfiglioli (meccatronica)
Presidente Sonia Bonfiglioli, nel 2024 per il secondo anno di fila l’Emilia-Romagna è cresciuta più lentamente del resto del Paese. Per il vicepresidente della Regione, Vincenzo Colla, il problema è che in questa fase i punti di forza — «prodotti di nicchia, estrema specializzazione e una enorme propensione all’export» — sono diventati debolezze. Condivide questa analisi?
«Il punto di vista del vicepresidente Colla sicuramente è corretto. Siamo un territorio molto manifatturiero-trasformativo, con una forte vocazione all’esportazione, che diventa un elemento di debolezza in questo up and down sui dazi che sta creando incertezza. Sui prodotti molto vicini ai consumatori, come il vino o il parmigiano, c’è stato un forte incremento di richieste legato a una sovra domanda per accaparrarseli prima di arrivare alla data dei dazi, che magari poi verrà posticipata ancora. Ma per chi ha prodotti che entrano più indietro nel ciclo di trasformazione è tutto fermo. Anche noi oggi come Bonfiglioli siamo bloccati su certi prodotti come i motori ad alta efficienza perché la Cina ha bloccato certe componenti. Però c’è un altro elemento, oltre a quelli citati da Colla, che non va dimenticato».
A cosa si riferisce?
«Il tema del costo dell’energia, di cui a volte si parla poco. I segnali che arrivano dai Tribunali del nostro territorio ci dicono che si stanno aprendo procedure per aziende energivore più piccole, come fonderie, ceramica, vetro. Le aziende energivore sono estremamente diffuse nella nostra regione e purtroppo come Paese siamo stati un po’ cicale anche quando si parla di come affrontare il tema, che è veramente complesso. Mentre la Spagna, che sta diventando un nostro competitor, ha lavorato per anni sulle rinnovabili, noi abbiamo vissuto sul gas che arrivava dalla Russia. Anche oggi il gas liquefatto che ci arriva dall’America costa. Come sistema Paese abbiamo una percentuale ancora molto bassa sulle rinnovabili, come Emilia-Romagna soprattutto sull’idroelettrico siamo più indietro delle altre regioni. Il costo dell’energia a noi sta particolarmente pesando».
Quali sono i rischi per il sistema delle imprese?
«Ho il profondo timore che così comincino a rompersi le fondamenta della nostra catena. Per noi è fondamentale non perdere queste piccole aziende energivore. Il problema è di dimensione nazionale, ma noi come regione possiamo cercare di trovare delle soluzioni per stimolare l’autoproduzione, dal fotovoltaico alla geotermia, ma ci deve essere una normativa. Se non nazionale, almeno regionale. Bisogna evitare però soluzioni che diventano aiuti di Stato. Temi come i costi dell’energia o la demografia, per cui in Italia rischiamo di ritrovarci tra 15 anni con 5 milioni di lavoratori in meno, vanno affrontati anche se sembrano silenti. Se li affrontiamo con la cultura delle cicale la volta che diventano macroscopici non hai più tempo per risolverli».
E per reagire alla frenata dell’export e ai dazi? Servono nuovi mercati come sottolinea anche Colla?
«Sì, ma va fatto un ragionamento in termini di filiere. Pensiamo all’Arabia Saudita, dove come Confindustria faremo un tour a settembre proprio per affrontarlo come nuovo Paese per le esportazioni, è chiaro che lì non si possono portare prodotti per l’energia, ma può essere un Paese interessante per settori come la moda o i mobili di lusso. Un altro Paese estremamente interessante in una logica manifatturiera è l’India, ma lì fai fatica a portare il nostro stile del fashion. Non dobbiamo commettere l’errore di generalizzare quando parliamo di internazionalizzazione, ogni Paese ha una sua storia e una sua cultura e non è detto che un prodotto che andava bene in America vada bene a tutti. Dobbiamo uscire da questa cultura un po’ sempliciotta e un po’ semplicistica. È importante che a livello di imprese e a livello politico evitiamo la soluzione del cerotto all’ultimo momento sul taglio. Dobbiamo avere una visione strategica di lungo termine, altrimenti rischiamo di avere solo un cerotto su una gamba di legno».