Attualità e politica

I top manager soffrono la sindrome social tra visibilità e rischio

Schiacciato dalle pressioni sociali. Deve essersi sentito così pochi giorni fa Tim Cook, ceo di Apple. «Immaginate solo tutto quello che potrà creare», ha scritto Cook sui suoi profili social, rilanciando la campagna legata al nuovo iPad Pro che in poche ore raggiunge 60 milioni di visualizzazioni su X. Ma col passare del tempo quel video – in poco più di un minuto una pressa gigante arriva a distruggere oggetti di ogni tipo per comprimerli nel nuovo tablet – si rivela un boomerang. Arrivano così le scuse. Metterci la faccia, ma anche perderla. È quello che accade anche alle guide d’azienda più navigate in questo tempo accelerato dagli stream social. Eppure quanto è importante esserci. «I leader di successo non verranno più misurati solamente sulla base del valore della singola azione. In futuro saper gestire e comunicare con gli shareholder, con i dipendenti, con i governi, con le comunità e soprattutto con i clienti saranno fattori indispensabili». Lo ha detto Peter Aceto, ex ceo di IngDirect in Canada, intervistato da Forbes. Andare oltre le torri d’avorio di un tempo, oltre i silos, oltre il silenzio. Più che un invito, un imperativo. D’altronde la misurazione del valore di un leader è sempre più legata alla capacità di saper gestire e comunicare con gli stakeholder sulle differenti piattaforme. (Sole 24 Ore)

Quel capitale reputazionale rappresentato dalla sua gestione determina l’eventuale successo del brand, il suo posizionamento e di riflesso ne condiziona le performance economiche. È quanto emerge anche dalla nuova edizione dell’Edelman Trust Barometer 2024: dai dati globali le aspettative delle persone nei confronti del proprio ceo sono molte alte: il 62% degli intervistati nel mondo confida nella leadership non solo per governare i cambiamenti aziendali, ma anche per intervenire e agire sull’impatto sociale. Gli intervistati chiedono che il ceo affronti pubblicamente tematiche come le skill lavorative (82%), l’uso etico della tecnologia (79%) e l’impatto dell’automazione sui posti di lavoro (78%). Ma c’è di più. Già negli anni passati lo stesso studio ha mostrato come ben l’82% degli intervistati abbia maggiori probabilità di fidarsi di un’azienda quando i propri dirigenti senior sono attivi sui social, mentre il 77% dei consumatori è più propenso ad acquistare quando il ceo li utilizza. Di più. Il 50% dei millennial si aspetta che i ceo parlino apertamente delle questioni sociali.

Esporsi conviene. Una recente ricerca di Reputation Leader e Bospar segnala come il 97% dei top manager ritiene che la leadership di pensiero porti un Roi da moderato ad alto con una forbice compresa tra il 5 e il 15 per cento. Ma occorre prestare attenzione. «La gente vuole storie reali, credibili, autentiche, non la perfezione o un elenco di successi impressionanti e a volte pompati. Qual è la vostra storia? Il branding è la confezione, ma servono credibilità rispetto alla mera visibilità in quanto la reputazione è importante», ha scritto Paolo Gallo, top manager di lungo corso con un percorso professionale tra l’Europa e gli Stati Uniti, appena uscito in edicola e in libreria con “L’arte di crescere. 7 passi per diventare leader”, edito dal Sole 24 Ore.

Redazione

 

 

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