Economia

L’inflazione taglia gli stipendi del 7,5% in Italia: il calo maggiore tra i grandi Paesi

L’Ocse ha presentato oggi l’Employment outlook 2023. L’Italia è il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie Ocse. Alla fine del 2022, i salari reali erano calati del 7,5% rispetto al periodo precedente la pandemia. Secondo le proiezioni Ocse, nei prossimi due anni il mercato del lavoro rimarrà sostanzialmente stabile, con una crescita dell’occupazione totale inferiore all’1% sia nel 2023 che nel 2024. L‘occupazione totale è aumentata nell’ultimo anno, con un incremento dell’1,7% a maggio 2023 rispetto a maggio 2022. Tuttavia, il tasso di occupazione italiano rimane ben al di sotto della media Ocse (61% contro 69,9% nel 1° trimestre 2023).

Il calo del 7,5% riguarda tutti i salari, contrattati e non. Ma Ocse fornisce anche informazioni più precise sulle retribuzioni negoziate. In Italia, i salari fissati dai contratti collettivi sono diminuiti in termini reali di oltre il 6% nel 2022. Si tratta di un calo particolarmente significativo se si considera che, a differenza di altri Paesi, la contrattazione collettiva copre, in teoria, tutti i lavoratori dipendenti.

Come è andata in passato? E come andrà per il prossimo futuro? Il nostro Paese è l’unico dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale reale è diminuito (-2,9%) a fronte di aumenti di oltre il 30% in Francia e Germania. Secondo le proiezioni Ocse, in Italia i salari nominali aumenteranno del 3,7% nel 2023 e del 3,5% nel 2024, mentre l’inflazione dovrebbe attestarsi al 6,4% nel 2023 e al 3% nel 2024. In altre parole, i salari reali continueranno a scendere quest’anno e cominceranno a recuperare terreno solo dall’anno prossimo.

L’Ocse evidenzia anche come nella maggioranza dei Paesi i profitti siano aumentati più del costo del lavoro. Questo è avvenuto anche in Italia anche se in misura, minore, per esempio, rispetto a Germania, Spagna, Polonia e Ungheria. Tra i Paesi dove i salari reali sono cresciuti più dei profitti ci sono Francia e Stati Uniti. «L’inflazione è una sorta di tassa che le imprese sono riuscite a traslare valle e i lavoratori no. Non è questione di individuare dei colpevoli e aumentare la conflittualità tra le parti, ma di essere consapevoli di meccanismi che a certi attori consentono lo scarico a valle, ad altri no — spiega Andrea Garnero, economista Ocse —. In ogni caso non penso che si possa parlare di una questione profitti per il caso italiano. Certo, la bassa crescita salariale diventa più problematica in un contesto che non ha grandi possibilità di crescita nell’immediato futuro». Ma il nostro sistema della contrattazione è all’altezza del momento? «In Francia i contratti si rinnovano ogni anno, in Germania ogni due, da noi ogni tre, questo non aiuta. Sarebbe necessario trovare un modo per suddividere equamente gli oneri dell’inflazione tra tutti gli attori. La lezione di Ciampi è ancora valida. In Portogallo e in Spagna sono stati raggiunti accordi che hanno coinvolto le parti sociali. Sedersi attorno a un tavolo è l’unico modo di procedere. Un tavolo da cui tutti escano perdenti perché il punto è dividersi in modo equo l’onere dell’aumento dei prezzi generato dal rialzo a monte delle materie prime».

Redazione

 

 

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