Economia

Il circolo vizioso del Fisco: con incentivi e detrazioni, le donne restano a casa

La chiamano la “child penalty”, cioè la penalizzazione in termini di stipendi, carriere e pensioni delle donne che decidono di mettere al mondo dei figli. E che non dipende soltanto dalle scelte delle donne, dello loro famiglie e delle aziende, ma da un sistema che sembra disegnato apposta per incentivare per le madri la scelta di rimanere a casa. A partire dalla storica “detrazione per il coniuge a carico”, rileva Francesca Carta, ricercatrice di Bankitalia, nel corso del convegno “Le donne, il lavoro e la crescita economica”, organizzato da via Nazionale per presentare i risultati di uno studio avviato su questi temi nel 2020. «La detrazione di fatto è un incentivo per il coniuge secondo percettore di reddito, cioè la donna, a rimanere a carico», afferma Carta. (Repubblica)

Fosse solo questo: anche l’Isee, ragiona lo studio di Bankitalia, scoraggia il lavoro delle donne, soprattutto quello regolare, nel momento in cui mette sullo stesso piano gli aumenti del reddito familiare riconducibili all’unico percettore rispetto a quelli dovuti al rientro nel mondo del lavoro della donna. Trasferimenti importanti come i sostegni alle rette degli asili nido, che per i redditi bassi arrivano a 3.000 euro, si dimezzano proprio quando servirebbero di più, e cioè quando le madri scelgono di tornare al lavoro, e quindi l’Isee sale. E inoltre, osserva ancora Bankitalia, gli incentivi al lavoro per le donne che hanno un coniuge percettore di reddito sono più bassi di quelli di cui godono le single.

Il meccanismo disegnato per tenere le donne a casa non si ferma qui. Le madri che rientrano dopo aver messo al mondo un figlio, a meno che non avessero già da prima un contratto a tempo indeterminato, che consente loro di rientrare alle stesse condizioni, finiscono per accettare contratti peggiori. Che abbondano tra quelli “incentivati”, sottolinea nel corso dello stesso convegno Maria Cecilia Guerra, deputata e responsabile Lavoro del Pd. «Gli incentivi spingono le donne verso un “brutto lavoro”, – afferma Guerra – con ampie quote di part-time e in settori marginali, che non sarebbero cioè altrimenti profittevoli in assenza degli incentivi, e quindi con basse retribuzioni e bassa produttività».

I risultati si vedono da un’analisi delle carriere: tra le madri occupate, a 15 anni dalla nascita del figlio, la retribuzione annua è circa la metà di quella delle donne senza figli, principalmente a causa del numero inferiore di settimane lavorate, in misura minore a causa della scelta del part-time. La penalizzazione è solo delle madri: d’altra parte, viene sottolineato nel corso del convegno, le donne in Italia hanno cinque mesi di congedo obbligatorio se mettono al mondo un figlio, gli uomini dieci giorni di congedo facoltativo che spesso di “dimenticano” di prendere. La “child penalty” esiste anche negli altri Paesi, ma viene assorbita con gli anni, mentre da noi è eterna.

Ad essere penalizzate sono soprattutto le donne delle famiglie a reddito più basso, il sistema Italia svantaggia notevolmente anche le donne ad alto reddito. Che pagano più delle altre il gender gap, sottolinea la vicedirettrice di Bankitalia Alessandra Perrazzelli: «Verso la fine della carriera lavorativa, le donne che appartengono al decimo superiore della distribuzione salariale guadagnano in media il 30 per cento in meno rispetto agli uomini che si trovano nell’ultimo decimo». Mentre il gender pay gap medio è “solo” del 10%, con un tasso di occupazione femminile che non riesce ancora neanche a raggiungere il 60%.

Redazione

 

 

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