In economia, come nei fiumi, l’acqua trova sempre una via alternativa quando un passaggio viene ostruito. Il commercio della Cina assomiglia proprio a questo: a un grande corso d’acqua deviato all’improvviso da una frana che però non rallenta e non evapora, ma si espande altrove e alimenta bacini diversi. (Repubblica)
I dati di novembre rivelano un crollo spettacolare delle esportazioni verso gli Stati uniti: -28,6% su base annua, ottavo mese consecutivo di contrazione a doppia cifra e -16,9% nei primi undici mesi del 2025. Conseguenza della recrudescenza della guerra commerciale, in attesa dell’ufficialità di una tregua commerciale che non è ancora pace. Mentre l’argine americano si restringe tra dazi, frizioni e diffidenze politiche, il flusso dell’export cinese si apre una nuova foce: +5,9% su base annua, una crescita che supera ogni previsione e che dimostra come il fiume manifatturiero di Pechino non si lasci bloccare, ma semplicemente ridisegni il proprio corso. Non solo: tra gennaio e novembre la Cina ha registrato un surplus commerciale di 1076 miliardi di dollari, in crescita del 21,6% rispetto allo stesso periodo del 2024.
Il merito è di una geografia commerciale più ampia e “multipolare”: meno America, più Sud-est asiatico, più Africa, più America Latina, più Europa. Risultato: l’export cresce nonostante la Cina perda quasi un terzo del proprio mercato verso la principale economia del mondo.
Dopo il -1,1% di ottobre, la prima contrazione dell’export cinese dal febbraio precedente, la ripresa nasce dal dinamismo del Sud-est asiatico (con l’Asean che si conferma primo partner commerciale di Pechino), Africa e America Latina. Qui le spedizioni sono cresciute a ritmi sostenuti grazie alla domanda di beni di consumo, apparecchiature elettroniche, auto e tecnologia intermedia destinata a industrie locali in espansione. Dati che consentono di alimentare la narrativa di Pechino secondo cui l’Occidente alza barriere e il sud globale apre le porte.
Dai dati, sembra farlo anche l’Europa, che nel 2025 ha sin qui aumentato del 5,4% le importazioni dalla Cina. D’altronde, tra il 2014 e il 2024 sono più che raddoppiate (+101%), arrivando a superare i 500 miliardi di euro. La nuova accelerazione è trainata da batterie, pannelli solari, laptop e smartphone. Particolarmente significativo il dato dell’Italia, che ha aumentato del 24,5% l’import dai settori manifatturieri. Il disavanzo italiano è più che raddoppiato dal 2019, passando da 18,7 a 43 miliardi. Cresce anche il deficit dell’Unione europea, in stato d’allarme per lo squilibrio commerciale. Appena tornato da Pechino, Emmanuel Macron ha spiegato di aver avvisato Xi Jinping che l’Ue potrebbe introdurre dazi sui prodotti cinesi, in assenza di una riduzione del surplus cinese.
Attenzione, però, perché non cala solo il commercio con gli Usa. Quest’anno è diminuito nettamente anche l’interscambio con la Russia: -8,7%. Si tratta di un’inversione dopo l’aumento esponenziale seguito alla guerra in Ucraina. L’export cinese verso la Russia scende dell’11,8%, complici anche i dazi di Mosca sulle auto. L’import di energia russa cala invece del 5,9%, nonostante i piani sul futuro maxi gasdotto Forza della Siberia 2.
A novembre le esportazioni totali si sono attestate a 330,3 miliardi di dollari, un dato che mette in ombra la debolezza del comparto manifatturiero interno, in contrazione per l’ottavo mese consecutivo. Non è un caso che, nella riunione di ieri del Politburo, Xi ha indicato come priorità del 2026 politiche fiscali più proattive e lo stimolo della domanda interna. Il fiume non ha bisogno solo di foci, ma anche di una sorgente sana.





