«Una delle prime richieste che i giovani rivolgono alle imprese è la possibilità di lavorare da remoto, spesso sono persino disposti a rinunciare a una parte dello stipendio per lo smartworking. Per i torinesi il lavoro non è più l’attività centrale della vita». Sonia Bertolini, sociologa dell’Università, racconta come sono cambiate le percezioni del mondo di giovani e meno giovani rispetto al primo impiego. Il quadro emerge dalle ricerche condotte insieme ai colleghi Francesco Ramella ed Elena Gobbino, con i dati e le interviste raccolte dal Centro Luigi Bobbio del dipartimento Culture, Politica e Società di Unito. (Corriere della Sera)
A Torino, nel 2024, le priorità dichiarate parlano chiaro: al primo posto c’è la conciliazione (40%), seguita dal reddito (24%), tempo libero (23%) e poi da buoni rapporti con i colleghi, stabilità e interesse per la professione (18%). Per capire come si sia arrivati qui serve guardare indietro. Secondo l’European Values Study, nel 2008 il 97% degli italiani attribuiva al lavoro un ruolo centrale nella propria vita.
Nel 2020, il 55% dei giovani considerava il lavoro abbastanza o molto importante. Nel 2023 la quota sale al 61%, per poi scendere al 48% nel 2024. Gli adulti restano più ancorati al modello tradizionale: tra il 71% e il 74% continua a vederlo come un elemento centrale, una quindicina di punti sopra i giovani. Un divario generazionale che non era presente prima.
«Non è rifiuto del lavoro», spiega Bertolini. «Le nuove generazioni si trovano davanti un mercato più frammentato, tecnologie che accelerano i ritmi, mansioni povere di senso e spesso di reddito. Di fronte a questo investono di più sulla sfera privata per avere maggiori soddisfazioni». La generazione Z ha imparato a spostarsi rapidamente, a cambiare impiego se non trova significato, a cercare benessere, sostenibilità ambientale, equilibrio quotidiano. È in questa cornice che cresce la richiesta di smart working, che finisce per trascinare anche gli adulti verso nuove aspettative.
Il confronto territoriale conferma il trend: in Piemonte, nel 2024, il 50% (contro il 63% della media nazionale) considera il lavoro «l’attività più importante della vita», a Torino si scende al 41%. E le priorità cambiano: per gli under 34 piemontesi al primo posto c’è la conciliazione, poi reddito, tempo libero, stabilità e buoni rapporti. L’idea di carriera è molto meno rilevante rispetto a un tempo. Anche per gli over 34 piemontesi la conciliazione rimane comunque il fattore più importante, seguita dai rapporti con i colleghi e solo dopo dallo stipendio. Una graduatoria che rovescia completamente quella degli anni Novanta, quando primeggiavano stipendio, stabilità e coerenza tra formazione e professione. Resta però un legame forte con l’ambiente, soprattutto a Torino, dove la tradizione industriale e l’eredità del periodo fordista hanno lasciato l’idea del lavoro come luogo di integrazione sociale. La stabilità continua a essere ricercata, ma non è più un approdo garantito: «Oggi non si entra quasi mai con un tempo indeterminato», ricorda Bertolini. «I giovani si sono socializzati all’incertezza e hanno imparato a muoversi dentro questa dimensione».





