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Rischio Francia sui mercati: ecco come l’allarme flussi incombe su Parigi

La Francia arriva all’ora della verità: il suo governo, appeso a un filo con il voto di fiducia verso il primo ministro François Bayrou di domani; le sue finanze, con un disavanzo che minaccia di uscire dal controllo oltre il 5 del Pil; i suoi titoli di Stato, che potrebbero diventare i più cari d’Europa. Gli sviluppi recenti sono stati seguiti con estrema attenzione sui mercati finanziari e la distanza del rendimento decennale degli OaT dal parametro di riferimento dei Bund si è allargata, fino ad arrivare a 82 punti base, senza però raggiungere i livelli toccati nella precedente fase della crisi, né tantomeno quelli dei BTp italiani. (Sole 24 Ore)

Non si è insomma finora vista la deriva da molti temuta, nonostante i flussi di investimento degli investitori sul debito francese si siano mantenuti davvero elevati. I dati iFlow che Bny raccoglie dal 2010 in via aggregata e anonima basandosi sui movimenti degli oltre 53mila miliardi di dollari di asset detenuti in custodia per conto dei clienti istituzionali mostrano anzi volumi in acquisto più che raddoppiati rispetto, per esempio, ai giorni attorno a quel voto europeo che dette ufficialmente origine a una crisi tale da coinvolgere in prima battuta anche il presidente Emmanuel Macron.

«Non sono certo segnali di panico» ammette Geoff Yu, Senior Emea Market Strategist di Bny, lontano al tempo stesso da pensare che nel breve termine la situazione sia tranquilla e «vada tutto bene». Quella dei forti afflussi rischia infatti di rivelarsi un’arma a doppio taglio, dato che i clienti istituzionali carichi di OaT potrebbero decidere di vendere in caso di esito sgradito della vicenda: «Gli investitori erano stati anche forti acquirenti di titoli francesi prima di giugno 2024 – prosegue Yu – quando sono state indette le elezioni, e hanno poi effettuato alcune vendite nel breve termine, anche se niente di drammatico».

Più pesanti si erano in questo caso appunto rivelati i movimenti verso la fine dello scorso anno, quando l’allora premier, Michel Barnier, fu costretto alle dimissioni e il precedente potrebbe servire come avvertimento. A detenere il debito francese sono del resto per il 53% soggetti esteri, per la maggior parte investitori a lungo termine, ma le cui partecipazioni potrebbero anche essere soggette a rotazioni nel breve: di qui la comprensibile cautela.

Il motivo per cui la Francia abbia nonostante tutto continuato ad attirare l’attenzione degli istituzionali, nel male ma evidentemente anche nel bene, non è poi certo del tutto incomprensibile. Bny fa infatti notare come i bond transalpini abbiano fornito una delle migliori performance in termini di rendimento assoluto da inizio anno all’interno dell’Eurozona. Parte di questo denaro potrebbe anzi essere stata dirottata dai Treasury in chiave di diversificazione rispetto agli asset statunitensi, considerando anche la liquidità elevata del mercato. Un fenomeno del resto ben noto anche ai nostri BTp in tempi non sospetti e perfino ai Gilt britannici che, in piena bufera sul debito a lungo termine, proprio questa settimana hanno visto piovere una domanda record nell’asta pubblica per i titoli a 10 anni.

«Se l’incertezza politica si prolunga – torna tuttavia ad avvertire Yu – il rischio di una brusca correzione è significativo, poiché il livello delle posizioni attuali è elevato e potrebbe per questo subire un’inversione di ampia portata, con un ciclo di vendite addirittura più forte rispetto al giugno dello scorso anno». Torna così d’attualità anche l’ipotesi di un avvicendamento fra OaT e BTp sul poco invidiato trono di titolo con rendimento più elevato nell’Eurozona. Sulla sfida a distanza Italia-Francia, Bny preferisce non prendere posizione in attesa di capire gli sviluppi a Parigi, ma non si sente neanche di escludere che i costi di finanziamento a 10 anni del debito d’Oltralpe possano presto aumentare al di sopra dell’equivalente italiano.

Ragionando in chiave puramente fiscale, gli esperti della banca d’affari statunitense notano infatti che la nostra linea di partenza misurata dal rapporto debito/Pil «è più elevata, ma non c’è al momento alcun segno di deterioramento e le prospettive di investimento pubblico rimangono forti». Al contrario la Francia, come prevede l’Ocse, è «l’unica grande economia dell’Eurozona a dover lottare per dover mantenere un deficit inferiore al 5% del Pil»: livelli che rischiano a questo punto di essere superati in mancanza di un risanamento di bilancio e di far pendere da quella parte della bilancia la lancetta dei rendimenti.

L’eventuale deriva transalpina non sembra in ogni caso in grado di trascinare con sé il resto d’Europa: «Esistono sufficienti meccanismi in mano alla Bce che il mercato potrebbe non essere così interessato a sfidare» spiega Yu, citando lo «scudo anti-spread» del Transmission protection mechanism e lo stesso Omt ideato ormai oltre dieci anni fa ai tempi della crisi del debito europeo. Parole che allora, e anche fino a pochi mesi fa, si spendevano per i BTp o per pochi altri titoli della «periferia» del Continente: a suo modo un segno dei tempi che cambiano.

Redazione

 

 

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