Economia

Pelletteria di lusso tradita da Cina e Russia: “Le maison non comprano, 4 mila in cassa”

L’Italia è il luogo dove nasce il lusso, anche se i marchi iconici sono ormai in gran parte in mani straniere. Ma è qui, nelle nostre botteghe e fabbriche, che nasce il sogno. E soprattutto il prodotto. Così quando dalla Leather Valley, nel cuore della Toscana arriva il grido di allarme del comparto pellettiero è tutto il sistema che avverte il pericolo. «Basti pensare alla cassa integrazione che, da gennaio a novembre 2023, è quasi raddoppiata arrivando a 396 aziende e 4.218 lavoratori, come evidenzia Confartigianato. In un settore che quello della pelletteria, che conta 2.079 imprese artigiane e impiega 9.396 addetti, per il 65% donne. (La Stampa)

E se dopo la pandemia la crescita del settore era stata a doppia cifra, già nel 2023 si era capito che questa andatura non poteva essere strutturale. E adesso nodi vengono al pettine, come dice Simone Balducci, presidente dei pellettieri di Cna Firenze . Le cause? «Dopo il Covid ci sono stati anni epici e le aziende si sono messe in magazzino tante scorte che forse non servivano. Poi dal novembre del 2022 hanno iniziato a tagliare ordinativi, il 2023 è stato in discesa e adesso questa esplosione di cassa integrazione. Quello che vediamo da qui è che i grandi gruppi ci stanno riducendo gli ordini e anche le aziende che lavorano per conto proprio hanno problemi. Il mercato russo si è fermato, come quello cinese. Quello americano con le elezioni non brilla, e anche gli arabi non sono più come una volta. Siamo preoccupati. Vorremmo un po’ di attenzione da parte del governo. Questa situazione è molto peggio del Covid. Allora siamo stati chiusi un mese ma quando siamo tornati ci hanno fatto correre come pazzi. Oggi del domani non c’è certezza».

Dati che si specchiano nei dati di fatturato per il 2023 diffusi ieri dal Gruppo Kering, guidato dal presidente e ad François-Henri Pinault: ricavi in calo del 4% a 19,6 miliardi. In flessione anche la redditività con un utile netto ricorrente del gruppo sceso del 18% a 3 miliardi. Gucci non traina più il gruppo, con i ricavi del marchio scesi del 6% a 9,873 miliardi. «Siamo concentrati sul rilancio di Gucci, facendo leva sul mix unico di artigianalità, tradizione italiana e modernità, che definisce l’identità di questo marchio iconico», fanno sapere con un comunicato da Kering. E certamente queste difficoltà del gruppo pesano sul comparto pellettiero di riferimento, sottolineando un rallentamento dei prodotti di alta gamma e la necessità di cambiare strategie, anche nel breve termine.

Insomma, il settore del lusso macina ancora profitti, ma rallenta. Secondo il 22° rapporto di Bain e Altagamma tante le variabili di questo rallentamento, non solo tassi di inflazione e situazione geopolitica. A contare anche l’approccio delle generazioni più giovani, meno interessate al brand e più al valore esperienziale dell’acquisto. Secondo Bain solo la ripresa di Cina e Stati Uniti potrà frenare il rallentamento del lusso, perché il Giappone e l’Arabia Saudita non rappresentano una valida alternativa di profitto.

E nella Leather Valley di Scandicci la preoccupazione è alta visto che alla riduzione degli ordini si affiancano altri problemi, come il rinnovo del contratto con aumenti di stipendio che, in questo momento, potrebbero mettere in ulteriore difficoltà le imprese, o l’adeguamento alle nuove richieste avanzate dai grandi marchi: «Vogliono interfacciarsi con contoterzisti che abbiano un’organizzazione aziendale pari alla loro – spiega Balducci – in grado cioè di soddisfare ciò che è loro richiesto dalle leggi europee votate alla buona gestione, come i requisiti Esg. Un set di adempimenti che richiede tempo e personale apposito, tanto che il lavoro organizzativo prende quasi il sopravvento su quello della produzione. Oneri insostenibili per le piccole aziende» .

Redazione

 

 

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